Volto di Giacinto Marco Rondelli, Psicologo Psicoterapeuta AgrigentoPsicologia Psicoterapia Agrigento

Giacinto Marco Rondelli

I buchi del tessuto in Bateson

 

Giammarco Come ti viene in mente di fare una tesina strutturata come un metalogo?

Allievo G.     Penso che sia stata l’assegnazione del compito in sé a farmi orientare ad una decisione del genere.

G. Cioè?

A. In pratica, bisogna scegliere un argomento trattato durante l’anno 2004 e attraverso questo, “vedere” se è cambiato qualcosa nella nostra esperienza professionale.

G. Quindi adesso nei colloqui clinici conversi con gli utenti per metaloghi?

A. Fammi pensare... in effetti Gregory Bateson definisce il metalogo come “una conversazione su un argomento problematico”. Però ti prego! Per ora soffermiamoci sul discorso che mi interessa il metalogo come una forma conversazionale per cercare di chiarire il concetto di buchi descritto da Bateson.

G. D’accordo. Allora, come mai proprio la scelta del metalogo e non ad esempio la stesura di una tesina “classica”?

A. Lo stavo per fare, però poi mi colpì un passaggio nel testo “Dove gli angeli esitano” che dice: “Tutti sanno (o dovrebbero sapere) che non si può imparare a ballare solo leggendo un manuale; si deve anche fare l’esperienza diretta del ballo, che il manuale non può assolutamente descrivere. È la singola pratica che ci consente di mettere insieme le singole istruzioni per formare le figure” .

G. Interessante, ma spiegati meglio!

A. Penso che Bateson utilizzasse i metaloghi al pari dell’esperienza diretta del ballo. E come se si trovasse ad un certo punto “imbottito” di concetti teorici che contengono le singole istruzioni e che poi, per riuscire a formare le figure si servì della pratica conversazionale. Quindi cosa c’è di meglio che provare ad utilizzare lo stesso livello di comunicazione dato che parlerò sui concetti espressi da Bateson?

G. Un Lucano?

A. Battuta amara, Giammarco!

G. A parte gli scherzi, finalmente ho capito che stai cercando di strutturare dei contenuti descritti da Bateson attraverso una pratica conversazionale definita dallo stesso: metalogo. Prima hai accennato che il contenuto di cui vuoi parlare sono i buchi...

A. Esatto! La prima volta che ne sentii parlare a lezione ne rimasi estasiato. È stato come riuscire a mettere un tappo ad uno dei tanti buchi del dubbio... il fatto straordinario è che a tappare il dubbio sia proprio il buco!

G. Eh?

A. Parto da un esempio che forse è meglio. Tu adesso mi hai chiesto di spiegarti che cosa sia il buco per Bateson. Ebbene, per quanto possa farti un resoconto dettagliato del concetto di buco, rimarranno dei buchi, cioè delle cose non dette. Se io adesso ti dicessi di descrivermi una penna, tu come la descriveresti?

G. Beh, (prende una penna) che è trasparente, in plastica, che ha la funzione di scrivere...

A. Continua a descriverla.

G. ...Che è stata costruita dalla Bic, che ha l’inchiostro nero, che è relativamente rigida, che può essere utilizzata come cerbottana e come mini bacchetta della batteria.. ah sì! Che ad un certo punto si consuma.. l’inchiostro intendo e che può servire da segnalibro!

A. Bene, pensi di avere descritto questa penna nella sua completezza?

G. No, per niente.

A. E se avessi tipo scritto cinque manuali su questa penna, pensi di aver detto tutto di questa penna?

G. ...Penso che qualche informazione sfugga sempre. Penso che sia impossibile dire tutto tutto di una cosa.

A. Bene, Giammarco ti presento i buchi.. i buchi, Giammarco.

G. Quindi ad esempio, anche questa nostra conversazione è piena di buchi...

A. Ebbene si. Ma non è ‘grave’ almeno in questo caso. Bateson dice che in ogni informazione e descrizione “il resto è lasciato scoperto e, anche se magari, estrapolando da ciò che viene effettivamente comunicato, se ne ricavano indizi, in linea di principio è indeterminato e non è regolato dal sistema dei messaggi” . In pratica è essenziale che ci sia uno stato di “preconoscenza” dei partecipanti alla conversazione.

G. Credo di capire. Ad esempio, verso l’inizio della nostra conversazione, hai accennato che la prima volta che sentisti parlare di buchi fu a lezione. Una cosa che mi venne in mente è che per esserci una lezione debba esserci anche un ‘corso’, una scuola o un seminario... qualcosa che comunque contenga il termine lezione e che tu hai frequentato. Però adesso non capisco se il tuo non specificare il tipo di lezione e la mia non richiesta di spiegazioni si riferiscono allo stato di preconoscenza o al famoso buco.

A. Caspita che bel dubbio! In questo caso, penso che c’entri il concetto di ridondanza che sarebbe, secondo le parole di Bateson: “un espediente economico per far sì che una provvista limitata di informazione strutturale esaurisca un soggetto complicato” .

G. Un espediente economico... ma allora la ridondanza è un complesso mix di preconoscenze e buchi!

A. (pausa) Senti cosa ho appena trovato scritto su “Verso un’ecologia della mente” nel capitolo “Ridondanza e codificazione”: “Vorrei tuttavia far notare che il concetto di ‘ridondanza’ è almeno in parte sinonimo di ‘significato’. A mio parere, se il ricevitore può risalire alle parti mancanti del messaggio, allora le parti ricevute devono, di fatto, contenere un significato che si riferisce alle porzioni mancanti ed è informazione su quelle” . Quindi, se consideriamo la premessa come valida che il significato che attribuiamo ai buchi derivino dalle preconoscenze allora possiamo ‘sbilanciarci’ e dire che la ridondanza è un complesso mix di preconoscenze e buchi.

G. Ma allora, il significato che attribuiamo ai buchi in pratica sono le interpretazioni?

A. Anche. Secondo me, dipende molto dalla quantità di buchi che un messaggio o un’informazione contiene. Nel momento in cui si aggiunge descrizione all’informazione, viene meno la possibilità di interpretare il messaggio. Provo a chiarire il discorso raccontandoti di un gioco che ho visto l’altro giorno in tv. Il giocatore, aveva il compito di tirare delle palline di tennis verso un ‘telo’ di carta leggera che copriva il volto di un personaggio famoso e vinceva se riusciva ad identificarlo entro un limite di tempo prestabilito. Centrare il ‘telo’ in questo caso significa provocare dei buchi che contengono informazione, cioè dettagli del viso del personaggio famoso: più scopre il telo più scopre di chi si tratta. Mancare il telo invece, significa provocare dei buchi nell’informazione: meno scopre il telo meno ha la possibilità di scoprire di chi si tratta e più si ritrova nel dover ‘interpretare’, ad esempio, la conformazione e quindi “l’appartenenza” del solo orecchio che è riuscito a scoprire.

G. E come mai, nel caso dei sogni, anche se ci sono moltissime informazioni, questi possono essere soltanto interpretati?

A. Forse perchè hanno contorni non ben definiti. Nel sogno “è facile” che l’orecchio del personaggio famoso sia il volto stesso. È pure facile farsi una bella passeggiata sulla luna senza protezioni! ... A pensarci ancora un pò, mi vien da dire che l’interpretazione ‘nasce’ pure dalla difficoltà di connettere le informazioni tra loro. Esercizio: ieri ho sognato una persona che aveva il volto a forma di orecchio.. assomigliava tipo a Robert De Niro e passeggiava sulla luna. Cosa mi sapresti dire?

G. Che tipo, magari hai mal d’orecchie o hai sentito qualcosa di importante in questi giorni e che ultimamente hai visto la pubblicità dell’American Express con De Niro oltre che un documentario “sulla luna” a SuperQuark! Quello che effettivamente non riesco a ‘vedere’ sono le connessioni fra queste informazioni... in pratica dovrei continuare a interpretare sulle interpretazioni... ci sono dei buchi spaventosi... ho paura!

A. Anche io... comunque mi tranquillizza il fatto che è possibile ridurre il livello interpretativo delle cose.

G. E cioè?

A. Il modo più ‘semplice’ è quello di non azzardare interpretazioni se mi chiedono di interpretare ad esempio un sogno. Poi la maniera più complessa è quella di raccogliere più informazioni possibili attraverso le domande.

G. Ti stai riferendo all’ambito lavorativo?

A. Sì.  Tempo fa nei colloqui con l’utenza ero solito fare ‘viaggi’ interpretativi interminabili, lasciavo scoperte le “lacune” dei racconti e delle descrizioni. Per continuare con la metafora del viso, diciamo che mi bastava raccogliere informazioni tipo sull’orecchio e magari un neo per poi interpretare i dati e restituirli con la forma di Robert De Niro. Adesso, la consapevolezza dei buchi del tessuto nella descrizione, mi direziona almeno verso un aspetto più di chiarezza e curiosità della storia raccontata e, quello che mi stupisce tantissimo è l’effetto pragmatico che agisce sull’utenza e su me stesso.

G. Un secondo, a questo punto sono curioso... prima hai detto “tempo fa” e “adesso” non specificando e chiarendo dove eri collocato almeno nel tempo. Devi farmi interpretare i tuoi tempi o mi dai informazioni più precise?

A. Ops... Dunque, “Il tempo fa” si rifersisce all’intervallo temporale che va dal tirocinio post lauream, che risale al 2002, fino agli inizi del 2004, quando appunto, si iniziò a parlare di buchi. “L’adesso”, si rifersisce agli inizi del 2004 fino ad oggi.

G.  Mi concedi un’interpretazione?

A.  Interpretazione concessa.

G.  Secondo me, tu vorresti connettere altri concetti di cui ancora non hai parlato o hai soltanto nominato, solo che non lo fai perchè sennò la conversazione diventa incredibilmente complessa... sbaglio?

A. Caspita, hai proprio indovinato! Ad esempio, avrei voluto anche parlare dei contorni… della curiosità, dell’ipotizzazione, delle strutture, del pattern che connette, della forma, la sostanza e la differenza...

G.  Se ti dico una cosa giura di non arrabbiarti...

A.  Giuro.

G.  In pratica, sono riuscito ad interpretare correttamente il tuo desiderio di conversare su altri argomenti, grazie al fatto che anche io ho letto Bateson, la famosa preconoscenza... e notavo che quasi soffrivi nel tentare di dare un contorno alle descrizioni che facevi... il pattern che connette, le differenze... quando poi sentii che nominasti pure la curiosità, mi son detto: “adesso nomina Cecchin... adesso lo nomina” e invece niente. Bravo, complimenti!

A.  Senti, dato che hai letto Bateson, sai dirmi se in un metalogo si possono dire anche le parolacce?

 

Bibliografia

 

Bateson G., 1972

Steps to an ecology of mind, Ballantine Books, New York; trad. It.: Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 1976

 

Bateson G., Bateson M. C., 1987

Angels Fear - Towards an Epistemology of the Sacred, Macmillan Publishing Co., New York; trad. It.: Dove gli angeli esitano, Adelphi, Milano 1989

 

 

 

Giacinto Marco Rondelli

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Dr. Giacinto Marco Rondelli - Psicologo Psicoterapeuta

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